Del libro pubblichiamo due stralci di recensioni su due giornali di opposte visioni, il Giornale a firma di Marcello Veneziani e sull'Unità.
Eugenio Scalfari di nuovo a Lecce. Presenterà il suo ultimo libro "Scuote l'anima mia eros", Einaudi) alle ore 18 al Cinema Teatro Massimo.
Del libro pubblichiamo due stralci di recensioni su due giornali di opposte visioni, il Giornale a firma di Marcello Veneziani e sull'Unità.
Dice Veneziani: Man mano che leggevo però mi chiedevo: ma che roba è, cosa pretende di essere? Cenni di teologia e filosofia, letteratura e poesia, musica e autobiografia in una chiacchiera da sa-lotto (ah, il solito salotto snob che non avrei voluto citare ma qui c'è, in tutto il suo dorato vaniloquio). Una messa cantata a se stesso con un tono da Maestro di color che sanno. Né pathos né pensiero. Asserzioni dilettantesche del tutto infondate e inspiegate si alternano a ovvietà imbarazzanti. Cito a grappolo e a esempio: «Le mitologie, le religioni, le culture che hanno affrontato il tema degli istinti hanno avute tutte come motivazione profonda la ricerca dell'assoluto»; ma non è assolutamente vero, da Aristotele agli illuministi, dai positivisti a Schopenhauer e Nietzsche fino a Freud hanno trattato degli istinti senza ricercare l'Assoluto. Oppure: «Potere e tristezza sono i due elementi dominanti dell'epoca che stiamo vivendo »; ma davvero il potere «dominante» è una novità della nostra epoca? O la tesi che nessun poeta moderno «ha sentito Eros camminargli sul cuore», ad eccezione di Garcia Lorca: ma scherziamo? Da Leopardi e Foscolo al romanticismo inglese e tedesco, dalla poesia francese alle poetesse russe, dai decadenti ai crepuscolari fino agli ermetici sono fiumi di poesie moderne e contemporanee sull'amore. E Scalfari sostiene che la modernità ha messo in fuga Eros... E ancora, secondo Scalfari «la trasgressione è cara agli dei» quando invece tutta la mitologia è piena di punizioni divine, l' hybris , la trasgressione. I trasgressori vengono dannati dagli dei all'inferno, ridotti a piante o animali, tormentati e maledetti... O sciocchezze del tipo: «La mistica cristiana vive un rapporto di coppia nel rapporto con Cristo». O errori elementari come quello sul triangolo amoroso: «Si tratta di un triangolo isoscele nel senso che pende più da una parte che dall'altra »: se è isoscele ha due lati e due angoli uguali, se pende più da una parte non è isoscele ma scaleno (scuola dell'obbligo). Apprendiamo poi che «nel Settecento la valutazione dell'interiorità è ancora allo stato nascente» (si vede che da Agostino a Pascal avevano solo scherzato). O la formidabile scoperta scalfariana «dell'istinto di sopravvivenza della specie»; l'aveva fatta un po' prima di lui Schopenhauer, ma Scalfari qui ricorda una gag di Peppino De Filippo che inventava brani musicali già celebri da secoli. Scalfari poi ci spiega finalmente che l'Essere di Heidegger è nient'altro che eros, ma non «quello di Parmenide sempre simile a se stesso ma quello di Eraclito che si realizza in continuo divenire». A veder confuso l'essere con l'eros,e il suo pensiero parmenideo con Eraclito,Heidegger si sarebbe gettato nel Reno. O banalità del tipo: «A me sembra che la nostra vita sia dominata dall'istinto di sopravvivenza » (ma davvero?) «l'infanzia è l'innocenza» (ma dai), «sono innocenti gli animali perché vivono secondo la loro natura senza consapevolezza» (ma sul serio?). «La desideranza che ci pervade coincide con la vita. Desideriamo la vita perché sappiamo che moriremo» (ma non mi dire). «Trovo molto significative sia le parole del Getsemani sia quelle del Golgota» (ma no, in duemila anni nessuno aveva dato peso alle parole di Gesù). E poi citazioni dannunziane di tre pagine e insensate autocitazioni dal proprio romanzo ancora più lunghe. Per finire: «Se volete un gergo più filosofico: l'ente che io sono è stato colorato di Eros»; no, questo non è gergo filosofico, è solo tintura. Come definire la filosofia erotica di Scalfari? Direi sciampismo.
Sull'Unità: La curvatura erotica dell'essere si manifesta innanzitutto nella sua biografia: «l'ente che io sono è stato colorato di Eros» confessa in un fulmineo bilancio della sua vita affettiva. Alla mia lettura rimane il desiderio di uno scavo ancora più aperto in questi intrecci fra esperienza personale, vissuti interiori e formarsi o disfarsi delle convinzioni che ordinano il mondo mentale. Il reciproco condizionamento di pensiero e vita trova nell'eros, come pulsione desiderante verso l' Altro e il mondo, il suo culmine espressivo. Questo assunto metodologico è ben presente all'autore, ma la messa in opera è troppo frammentaria e così anche lo sfondo dei ricordi, potenzialmente in grado di ridarci l'affresco di più di mezzo secolo, rimane soltanto uno svelto tratto di colore su un mosaico fin troppo saturo di questioni teoriche.
La ricostruzione di Scalfari vede Eros come il principe degli istinti che si dividono, in conflitto o in composizione, l'animo dell'uomo, nella continua tensione alla sopravvivenza, del singolo sé e della specie. Nel passaggio alla coscienza l'istinto diventa sentimento e assume tutte le coloriture della vita affettiva. Si riflette qui anche la storia della formazione della intellettualità italiana degli anni cinquanta-sessanta: l'apertura alle scienze umane e alla psicoanalisi rimane legata a uno scenario dominato dalle grande narrazioni del conflitto fra istinti e ragione. Scalfari pare osservare la scena della vita come dominata da potenze istintive tremende e affascinanti, solo ingentilite e trasfigurate dalla consapevolezza e dal pensiero, malinconici e sublimi, ma innocenti, attori secondari di un dramma sospinto da forze indomabili.
Dobbiamo tuttavia chiederci: siamo ancora convinti che l'animalità e l'istintualità siano senza misura e la cultura e la ragione siano le forze disciplinatrici ? Non è piuttosto vero l'opposto, come la ricerca etologica sembra suggerire? Le belve feroci smettono di uccidere non appena la fame sia placata, l'uccisione all'interno della stessa specie è rara. Non è l'uomo un animale visionario, sempre teso al di là del suo limite, e non è proprio questa la radice della magnificenza e della tragedia della nostra capacità di inventare, della nostra libertà aperta al bene come all'orrore?