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Data: 14/05/2010 - Ora: 09:25
Categoria:
Cultura
Le nuove metodologie sviluppate nei laboratori dell’Università del Salento si basano sull’impiego di nanoparticelle che, comportandosi come delle "nano-antenne", amplificano l’intensità della luce
Il metodo più veloce, affidabile e conveniente per rivelare la ‘proteina prionica', presente sulla membrana cellulare e responsabile di molte malattie neurodegenerative, viene dai ricercatori dell'Università del Salento. Lo ha sancito la comunità scientifica internazionale segnalando l'attività di ricerca sperimentale sviluppata dal Laboratorio di Fisica delle nanostrutture del Dipartimento di Scienza dei materiali e dal Laboratorio di Fisiologia generale del Dipartimento di Scienze e tecnologie biologiche e ambientali dell'Ateneo salentino.
La segnalazione è dell'Institute of Physics Publishing; il gruppo di ricerca è formato dai professori Daniela Manno e Antonio Serra e i dottori Emanuela Filippo e Alessandro Buccolieri del Dipartimento di Scienza dei materiali, e dal professor Michele Maffia e le dottoresse Emanuela Urso e Antonia Rizzello del Dipartimento di Scienze e tecnologie biologiche e ambientali, impegnati nello sviluppo di una nuova metodologia da affiancare ai metodi convenzionali di identificazione di pattern proteici o di singoli peptidi.
L'identificazione di proteine o peptidi che fungono da biomarcatori è di fondamentale importanza per la diagnostica precoce, l'identificazione di soggetti a rischio, la definizione prognostica e la eventuale predittività di risposta terapeutica nelle patologie neurodegenerative e oncologiche. Le nuove metodologie sviluppate nei laboratori dell'Università del Salento si basano sull'impiego di nanoparticelle che, comportandosi come delle "nano-antenne", amplificano l'intensità della luce diffusa da composti molecolari situati nelle immediate vicinanze. Questo rende possibile rivelare specie molecolari in bassissime concentrazioni. I ricercatori salentini hanno proceduto alla realizzazione di substrati mediante ricopertura di nanoparticelle di oro, con dimensioni tali da amplificare il segnale ottico emesso dalla proteina prionica. Un'implicazione importante di questo lavoro consiste nella possibilità che la nuova metodologia possa sostituire i costosi e lunghi saggi immunologici comunemente impiegati per individuare la proteina prionica, fornendo un valido supporto alla diagnostica e al monitoraggio di patologie neurodegenerative.
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