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Data: 16/12/2010 - Ora: 12:15
Categoria:
Economia
Era stata contestata, dunque, una mancanza di parità tra le posizioni contrattuali alla data della stipula degli swap, che aveva generato uno squilibrio a favore delle banche
Prodotti derivati ed enti locali: storia di un rapporto travagliato. E' di pochi giorni fa la notizia che il Tar Toscana (sentenza n.65791/2010), con una pronuncia destinata ad incidere sui vari contenziosi in atto, ha ritenuto corretti i provvedimenti di autotutela con cui la Provincia di Pisa aveva annullato la procedura di ristrutturazione del proprio debito, ricorrendo a delle operazioni in derivati di copertura dal rischio di tasso. In particolare, l'Amministrazione provinciale aveva indetto una gara ufficiosa per individuare uno o più intermediari finanziari con i quali perfezionare un'operazione di ristrutturazione del proprio debito.
La gara era stata vinta da due banche, riunite in associazione temporanea di impresa. L'operazione si era concretizzata nell'emissione di un prestito obbligazionario al tasso variabile Euribor maggiorato dallo spread indicato nell'offerta di gara, per un importo di euro 95.940.000. Si erano poi concluse due operazioni di swap per la copertura dal rischio di tasso, finalizzate a garantire che il livello dei tassi di interesse da corrispondere fosse oscillante all'interno di un minimo ed un massimo prestabiliti. L'Ente aveva poi annullato la procedura, a causa di costi impliciti dell'operazione non dichiarati dalle banche. In particolare, i provvedimenti di autotutela erano stati motivati da una relazione prodotta da una società specializzata, a parere della quale gli swap sottoscritti con le banche avevano, sin dal momento iniziale, un valore negativo a carico della Provincia.
Era stata contestata, dunque, una mancanza di parità tra le posizioni contrattuali alla data della stipula degli swap, che aveva generato uno squilibrio a favore delle banche. La sentenza ha sottolineato che detti fatti non erano stati smentiti dalla difesa delle banche, che non era riuscita a dimostrare l'esistenza di un vantaggio per la P.A.. In definitiva, il Tar ha statuito che i provvedimenti di autotutela impugnati erano da ritenere corretti poiché motivati e di rilevante interesse pubblico. In aggiunta,ha affermato che, anche in autotutela, l'annullamento dell'aggiudicazione non produce, alla luce della normativa europea e della legislazione di recepimento, l'automatica inefficacia dei contratti. Per raggiungere tale obiettivo deve essere adito il giudice competente a conoscere dell'esecuzione dei medesimi contratti. La sentenza ha soffermato la propria attenzione su uno dei principali problemi che caratterizzano oggi il contenzioso tra banche ed enti locali. I nodi al pettine riguardano, da una parte, la verifica del valore iniziale dello swap sottoscritto dalle parti. Ci si interroga se esso sia giudicabile equo, ovvero se esista un problema di squilibrio economico iniziale dello strumento finanziario, poiché la banca non ha attribuito ad esso il giusto valore. Dall'altra, ci si chiede se il derivato venduto all'ente locale sia giudicabile idoneo a perseguire l'obiettivo della reale convenienza economica.
Si tratta, in estrema sintesi, di valutazioni assai delicate che investono il concetto di mark to market (valore di mercato) e di valore equo (fair value) di uno strumento finanziario, negoziato in un mercato non standardizzato, cosiddetto O.t.c. (over the counter). In poche parole, ad alto rischio di liquidità, nel quale, non essendovi la presenza di un soggetto garante, gli intermediari per tutelarsi dai rischi di insolvenza della controparte, tendono ad aumentare, secondo una logica auto-assicurativa, i prezzi dei contratti. Un mercato in cui, purtroppo, è assente un'adeguata trasparenza del prezzo. Ciò si riflette in sede giudiziale ove si assiste, a colpi di perizie, al confronto tra il fair value stimato dall'Ente ed il valore attribuito dalla banca. L'eventuale disparità, se sfavorevole all'Ente e non resa trasparente, viene interpretata come danno iniziale subito dalla Pubblica Amministrazione. E' una tesi, ovviamente, non condivisa dall'ABI per la quale i modelli valutativi del prezzo ‘giusto' trascurerebbero l'esistenza dei costi di strutturazione e amministrazione nonché lo stesso merito di credito dell'ente territoriale.
Non terrebbero, inoltre, conto dell'esistenza di un necessario margine d'intermediazione e risulterebbero in conflitto con la normativa di vigilanza della Banca d'Italia che impone il recupero dei costi e la remunerazione dei rischi assunti. Ora, è indubbio che la valutazione degli strumenti finanziari derivati, dovendosi basare su modelli definiti in condizione di incertezza (di tipo probabilistico), si caratterizza come una grandezza Mark to model, dipendente, cioè, dalle ipotesi valutative adottate. Con il risultato che piccole differenze nelle stime possono produrre grandi divergenze nei risultati. Il modello valutativo dovrebbe essere scelto tra quelli accreditati in letteratura e le stime dovrebbero, utilizzando idonee tecniche di calibrazione, fondarsi sui dati disponibili. In definitiva, tutto si riduce a un problema di giudizio su ipotesi valutative, che smentiscono l'esistenza di un solo valor equo e rendono possibile l'esistenza, in un dato momento, di più valori dello stesso derivato, teoricamente ammissibili come equi.
Sul punto vedasi l'opinione dello Iasb Expert Advisor Panel (ottobre 2008). Ed è questo, ad oggi, il vero grande problema: il giudizio di equità, su cui si basano anche le indagini penali, presenta un elevato grado di soggettività, acuito dal fatto che i contratti in derivati, sino ad oggi, non hanno riportato i criteri e le regole da utilizzare ai fini della valutazione del fair value. Con buona pace, purtroppo, per la tanto invocata trasparenza.
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