L'azzurra in finale batte la Chan 6-1 6-3
Lo scorso settembre a New York, durante gli Open, mentre l'ex fidanzato fedifrago Carlos Moya si autosequestrava pavido negli spogliatoi per non incrociare il suo sguardo di velluto furibondo, ci era sembrata smunta. Magra, troppo magra. Sette chili persi. Pene d'amore, si commentava, sospirando dopo averla vista raggomitolata, il sorriso dolce ma triste sul faccino, durante l'ennesima conferenza stampa da sconfitta dopo il match con la virago ceca Vaidisova. La rabbia divorante di essersi dovuta sciroppare a sorpresa, sulle prime pagine dei giornali spagnoli le foto rubate del macho Carlos risucchiato dalle chiome bionde di Caterina Cerezuela, stellina della tv spagnola in cerca di uno spot amoroso. Ci si chiedeva quanto tempo la bella Flavia avrebbe impiegato a smaltire la delusione, a passare una spugna sui tredici - dicasi tredici - primi turni che macchiavano il suo ruolino di marcia. «Flavia non l'ho mai vista così asciutta, così in forma», sosteneva invece Daniel Panajotti, il coach di Francesca Schiavone. Pareva un paradosso, era occhio clinico. Ora, non importa più di tanto se Moya non c'è più, se tornerà ad esserci, e Moya chi è. L'importante è che Flavia Pennetta abbia vinto a Bangkok il 35esimo titolo Wta di un'italiana, il suo quarto della carriera su dieci finali dopo Sopot (2004) Acapulco e Bogotà (2005). L'essenziale è che Flavia sia di nuovo una bellezza da vedere anche sul campo, che possa tornare a formare una coppia di campioncine con la Schiavone. Ieri ha battuto 6-1 6-3 in finale la cinese di Taipei Yung-Jan Chan, n. 97 del mondo, scavalcando anche un monsoncino che ha interrotto il match per quattro ore fra il primo e il secondo set. «Non me lo aspettavo, devo essere onesta - ha detto dopo il big match, concedendosi una piccola, giustificata bugia -. Non ho giocato il mio miglior tennis, ma ho fatto le cose giuste per portare a casa il match. Tutti oggi si aspettavano che vincessi». Questo sì, è vero, perché le imprese Flavia le aveva realizzate nei quarti contro l'israeliana Peer (n. 16 Wta) e soprattutto sabato in semifinale, eliminando in due set Venus Williams, la campionessa di Wimbledon in carica e n. 8 del mondo, 6-4 7-6 dopo aver salvato anche tre points nel tie-break decisivo. Vittoria vera, «una delle più belle della mia carriera», come ha urlato nel telefono a papà Oronzo, detto Ronzino, testimone uditivo della ritrovata felicità. Il terzo successo della carriera su una top-ten dopo quelli contro Petrova ed Henin, strappato alla pantera in rimonta («quando è tornata sotto ho avuto paura, ma mi sono detta che era un'occasione da non perdere») serrando i nervi e i colpi. I segnali della risurrezione del resto erano già arrivati nelle scorse settimane, con i quarti raggiunti a Calcutta, le semifinali di Seul - dove a batterla era stata la stessa Venus - e di Tokyo. Lampi della Pennetta edizione 2006, quella capace di arrivare fino al n. 16 della classifica mondiale, di vincere insieme alla Schiavone e alle altre Barazzutti girls la finale di Fed Cup a Charleroi. Della ragazzina meraviglia che vinceva superando gli attacchi d'ansia, della proto-professionista che aveva avuto la pazienza di aspettare un anno per guarire dal tifo (un piatto di molluschi andato a male), della futura campionessa che per svezzarsi definitivamente si era decisa a lasciare le comodità di casa e traslocare in Spagna. Bentornata Flavia, adieu tristesse.