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Informazione/ Giornalisti e pubblico, il divario aumenta

Data: 08/06/1998 - Ora: 10:41
Categoria: Massmedia

E' stato prima di tutto autocelebrativo il convegno organizzato dalla Federazione nazionale della Stampa per il 90esimo anniversario dell'associazione. Gli stessi giornalisti presenti non hanno potuto non constatare come il pubblico, soprattutto quello più giovane, è sempre più lontano dal mondo dell'informazione, malgrado faccia largo uso di Internet e di tecnologia. "Il futuro dei media è Internet" ha esordito il segretario generale Serventi Longhi. (MN)
La maggior parte dei giornalisti italiani soffre di un male che si potrebbe chiamare la "sindrome dello specchio": ogni qual volta si trovino a ragionare su se stessi, e sul loro modo di lavorare, finiscono col farsi i complimenti da soli, o a vicenda. Così anche ieri sera al Villaggio dell'Informazione della FNSI, durante il convegno "Economia-Europa. Anche l'informazione senza frontiere?" è prevalsa l'autocelebrazione.

Eppure, all'inizio del dibattito, Giorgio Benvenuto e Sergio Billè (tra gli intervenuti i soli a non essere giornalisti) hanno focalizzato il dibattito su alcuni difetti dell'informazione italiana, non solo economica. Tanto che, mentre il presidente della Commissione Finanze denunciava la mancanza di attenzione per "i fatti concreti, i problemi che interessano la gente", il presidente della Confcommercio esprimeva la convinzione che "se raggiungere l'Euromoneta è stato un sacrificio, ancora di più lo sarà raggiungere una Euroinformazione".
E' evidente, infatti, come giornali e telegiornali siano sempre più lontani dal pubblico che dovrebbero servire: molto spesso, anziché fornire informazioni necessarie ed essenziali su "chi, cosa, dove, quando, perché", si impegnano in uno stile brillante nella forma, ma confuso nella sostanza e scarsamente rispettoso della notizia.
I giornalisti, pur di apparire originali, si trasformano in romanzieri e dimenticano la loro funzione di servizio.
Inoltre il loro stile brillante ma equivoco finisce per adagiarsi su schemi ripetitivi, su rituali stilistici, che colmano il vuoto lasciato dall'incapacità di raccontare senza ipocrisie, ma aggravano l'incomunicabilità con il pubblico.
Ciò vale anche per i giornalisti economici. Eppure quelli invitati ieri alla conferenza hanno parlato d'altro, addirittura hanno capovolto il problema: "Non siamo noi giornalisti a dover essere professionalizzati, ma i lettori che vanno educati!", ha sentenziato Alò (Il Messaggero), mentre Sferrazza (Rai) confermava: "Non devono i giornali diventare più semplici, ma i lettori più capaci di comprenderli".
Insomma, che i lettori e i telespettatori non comprendono le notizie è un dato di fatto, ma la colpa è soltanto loro, oppure della scuola (come spiegava Seghetti), o ancora delle istituzioni, che - queste sì - "non si fanno capire" (Alò).
Ma davvero i giornalisti conoscono il pubblico che vorrebbero raggiungere ? Si lamentano dei giovani che non comprano i giornali, li definiscono "analfabeti", ma non sanno che gli stessi giovani navigano in Internet, al computer sono mostri di bravura (e non solo coi videogames), conoscono il cinema, la musica "leggera", e altre culture, altri sistemi di comunicazione.
Il giornalismo, secondo logiche di mercato, si sta avvicinando alle nuove esigenze, ma ancora troppi cronisti, anziché mettersi alla prova, preferiscono inseguire le sicurezze di un tempo perduto, lamentandosi sempre di altro, mai di se stessi.
Al convegno di ieri, solamente Laruffa (Tg2), ha parlato delle pecche di "agenzie stampa, telegiornali e giornali che si rincorrono nel riportare dichiarazioni ad effetto ma spesso inconsistenti, enfatiche ma spesso superflue". In questo giornalismo, "le parole hanno preso il sopravvento, e ci allontanano non solo dai problemi della gente, ma anche da un modello europeo". I giornalisti italiani dovrebbero "dire meno, dire meglio".
Gli altri non hanno raccolto: secondo Alò "i giornali stranieri hanno molto da imparare da quelli italiani, che hanno dato molto spazio all'Europa", mentre loro, dice Sferrazza, "danno dell'Italia un'immagine stereotipata". Alla fine, tutti con il sorriso sulle labbra, felici di essersi raccontati ancora una volta, come dice Seghetti, "consci che si può fare meglio, ma già sulla buona strada".

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