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Data: 05/08/2010 - Ora: 08:49
Categoria:
Economia
Ma sarà sul versante dell’elemento soggettivo che, a modesto parere di chi scrive, risulterà problematica la prova del dolo
Una recente pronuncia della II sezione penale della Corte di Cassazione , sentenza n. 12028 depositata il 26 marzo 2010, ha esaminato il controverso tema della rilevanza penale della Commissione di massimo scoperto nella normativa anti-usura (Legge n.108/1996). In considerazione dell'importanza del provvedimento appare utile svolgere qualche considerazione preliminare. Quando nei manuali di tecnica bancaria si iniziò a parlare di Commissione di massimo scoperto (C.m.s.), nei primi decenni del secolo scorso, nessuno avrebbe mai osato immaginare che quella voce di costo, apparentemente insignificante, sarebbe divenuta, un giorno, un importante cavallo di battaglia nella crociata anti-usura.
Come accade sovente nel diritto dell'economia, nessuno, allora, avrebbe potuto ipotizzare quale vespaio di polemiche avrebbe generato quell'insidioso meccanismo di calcolo, sovente opaco, destinato a riflettersi sul costo effettivo del credito, per via della capitalizzazione periodica delle competenze. Strutturata come onere dovuto dal cliente, con una data periodicità (solitamente trimestrale), in misura percentuale rispetto al massimo picco di scopertura nel periodo, la C.m.s. è sempre stata applicata in aggiunta agli interessi da corrispondere. Negli ultimi anni, la giurisprudenza civile di merito, sollecitata dalla dottrina più sensibile e muovendo dalla concreta modalità operativa di tale costo, ne ha messo in discussione, in più di una circostanza, la stessa natura giuridica. Nel coro delle critiche, provenienti dalle associazioni dei consumatori e dal mondo delle imprese, si registrava anche la presenza del Governatore della Banca d'Italia, il quale, in occasione dell'assemblea annuale dei soci dell'Organo di vigilanza, il 31 maggio 2008, sollecitava il sistema bancario a sostituirla con una commissione più chiara, ancorata non al picco di quanto utilizzato bensì alla dimensione del fido accordato, come accadeva, in maniera più trasparente, in altri paesi.
E' con la Legge n. 2/2009, a cui ha fatto sèguito il D.L. 1 luglio 2009, n.78, convertito in Legge 3 agosto 2009 , n.102, che il legislatore ha, poi, inteso regolamentare, in maniera non scevra da perplessità, l'operatività della C.m.s., eliminando, da una parte, quegli eccessi di costi a cui la pregressa prassi bancaria aveva dato luogo e sancendo, dall'altra, la sua rilevanza nella normativa anti-usura. Senza addentrarci, in questa sede, in particolari tecnicismi, giova ricordare che, in passato, i decreti ministeriali di rilevazione dei tassi medi, previsti ai fini del calcolo delle soglie di usurarietà, avevano optato, sulla scorta delle Istruzioni della Banca d'Italia, per una rilevazione separata della C.m.s., che, di fatto, non veniva compresa tra i fattori di calcolo del tasso effettivo globale medio da comparare con i tassi soglia. In questo contesto, sommariamente delineato, si colloca il citato orientamento della Suprema Corte.
Ritenendo legittime le perplessità da più parti avanzate in ordine alla non conformità alla legge penale del metodo di rilevazione adottato dalla Banca d'Italia, nella parte in cui escludeva la C.m.s. dal calcolo del Tasso effettivo globale medio, la Corte è pervenuta alla conclusione che la norma penale (art.644 c.p.) impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito. E tra essi, ed è questa la novità, deve rientrare, a pieno titolo, la C.m.s., trattandosi di un costo indiscutibilmente legato all'erogazione del credito. Tale interpretazione, si è aggiunto, risulterebbe avvalorata dalla normativa successiva, introdotta dall'art.2 bis del D.l. 29/11/2008, n.185, convertito nella Legge n.2/2009, che ha sancito la rilevanza, ai fini della normativa anti-usura, non solo degli interessi, ma anche delle commissioni, comunque denominate, che prevedono una remunerazione a favore della banca dipendente dall'effettiva utilizzazione dei fondi da parte del cliente. E' facile immaginare l'esito di tale approdo giurisprudenziale.
Sul piano penale i numerosi procedimenti avviati nei confronti di esponenti bancari, troveranno, con l'inclusione delle Cm.s. nella verifica dell'usurarietà , sciolto il consistente nodo dibattimentale connesso con l'accertamento del tasso d'usura. Ma sarà sul versante dell'elemento soggettivo che, a modesto parere di chi scrive, risulterà problematica la prova del dolo, ove lo sforamento del tasso soglia dovesse dipendere, esclusivamente, dall'inclusione della C.m.s. nei fattori di calcolo del tasso effettivo globale. Quale consapevolezza e volontà di porre in essere una condotta usuraria potrà essere contestata a quel funzionario di banca che, in ossequio a quanto dettato dai vari Decreti ministeriali di rilevazione dei tassi medi (art.3, secondo comma), si sia attenuto proprio a quelle Istruzioni della Banca di Italia che, oggi, sono contraddette dalla Suprema Corte?
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