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Banca 121 e prodotti derivati: si chiude una pagina

Data: 27/02/2010 - Ora: 09:35
Categoria: Cronaca

Una vicenda che ha visto coinvolti migliaia di risparmiatori

Giunge al termine l'annosa vicenda che ha riguardato alcuni controversi prodotti finanziari commercializzati, negli anni scorsi, dalla Banca 121. Con una recente pronuncia, la n.1556/2009, depositata da pochi giorni, la Suprema Corte di Cassazione (II Sezione penale) ha dichiarato inammissibile, in quanto proposto fuori termine, il ricorso presentato dalla Procura di Trani, avverso la sentenza del G.U.P. Miccoli che, nel dicembre 2008, aveva dichiarato il non luogo a procedere, perché il fatto non sussiste, nei confronti di quattordici tra dirigenti, funzionari e consulenti finanziari della Banca 121 (poi fusa per incorporazione in Banca Monte dei Paschi di Siena). Imputati, a vario titolo, delle ipotesi di truffa e/o minaccia a commettere un reato, con espresso riferimento all'ideazione e commercializzazione di alcuni prodotti finanziari nel periodo 1999-2002.

La declaratoria di inammissibilità del ricorso ha precluso alla Suprema Corte l'esame dei motivi proposti. E' divenuta, pertanto, definitiva quella sentenza che aveva ritenuto gli strumenti finanziari derivati, emessi dalla banca, frutto di un processo di innovazione tecnica assolutamente lecito. E ciò in quanto, in nessun caso, quei prodotti avrebbero determinato, sin dalla stipula dei contratti, risultati pregiudizievoli per gli investitori, essendo il relativo valore ancorato esclusivamente all'aleatorio andamento dei mercati mobiliari. Quella particolare vicenda processuale, che si caratterizzò anche per il rilevante clamore mediatico, merita di essere brevemente ripercorsa per le importanti implicazioni che ne conseguono nell'ambito della più generale contrattazione in tema di prodotti derivati. Come è noto, essa fu originata da una serie di querele presentate da risparmiatori che lamentavano di essere stati truffati con l'acquisto di alcuni strumenti finanziari di tipo reverse convertible sintetici (BTP On Line, BTP Tel, Action 2001, Bot Strike 2001, Bot Equity Linked 2001, etc.). Si trattava di prodotti atipici, di una certa complessità, che, non rientrando tra gli strumenti di raccolta delle banche, non sottostavano, all'epoca, all'obbligo di redazione del prospetto informativo e del foglio informativo analitico.

Erano strumenti finanziari che non garantivano la restituzione del capitale investito e si caratterizzavano per una redditività e rischiosità assai più elevata rispetto agli investimenti ordinari. Si contestò alla banca il difetto di informazione che vi sarebbe stato nella fase sia di illustrazione che di conclusione di quei contratti. In particolare, si censurò la condotta dei dipendenti o dei promotori finanziari che non avevano compiutamente illustrato le caratteristiche delle complesse operazioni di investimento o, addirittura, avevano posto in essere un comportamento menzognero, garantendo espressamente l'integrità del capitale investito. La maggior parte delle anzidette querele fu rimessa a seguito di una serie di atti di transazione. La prospettiva accusatoria si basò anche sugli esiti di consulenze tecniche che, in quel giudizio, avevano ipotizzato alcuni profili di illegittimità nella fase di progettazione e vendita dei prodotti, rimarcando la mancata evidenziazione del conflitto di interessi tra banca e risparmiatore, in violazione della normativa primaria e regolamentare, e l'elusione degli obblighi informativi disposti dalla Consob. Il rappresentante della pubblica accusa, persuaso della natura truffaldina di quei prodotti, proposti anche a clientela dalla bassissima se non inesistente propensione al rischio, ritenne di imputare la responsabilità, di natura penale, esclusivamente in capo ai dirigenti preposti alla fase di progettazione e successivo collocamento. Fu esclusa, invece, la responsabilità dei vertici della banca, essendo stato riscontrato, nell'ambito di quella complessa struttura organizzativa, un sistema di decentramento dei compiti con effettivo trasferimento dei poteri ai soggetti delegati.

Le indagini espletate avevano consentito, infatti, di acquisire agli atti varie lettere, circolari ed ordini di servizio, a firma dello stesso Direttore generale, che invitavano sia i promotori che i responsabili delle varie Divisioni a rispettare la normativa dettata dal legislatore a tutela della clientela. La tesi della pubblica accusa venne contraddetta nel merito dalla citata sentenza del GUP, che aderì pienamente alle tesi difensive, sostenendo l'insussistenza degli elementi costitutivi della truffa contrattuale, potendosi configurare, al più, ed in alcuni casi, degli inadempimenti di natura civilistica. Il provvedimento in questione chiarì che, solo nel luglio 2003, e quindi in epoca successiva ai fatti contestati, la Banca d'Italia aveva previsto, in seno alle proprie istruzioni, l'obbligo di redazione di un foglio informativo analitico, esteso alla generalità dei prodotti emessi dalle banche, con espressa citazione dei prodotti sintetici. Qualora vi fossero state irregolarità nel corso delle trattative miranti alla vendita dei prodotti, le varie condotte dei promotori finanziari sarebbero state sanzionabili in sede civile, non integrando gli elementi costitutivi del reato di truffa. Era carente, insomma, a parere di quel Giudice, la prova della sussistenza dell'artificio e del raggiro.

eraltro, il provvedimento ribadì che si trattava di strumenti finanziari derivati, caratterizzati dall'esistenza di un'opzione a vendere, già presente, prima della vicenda processuale in contestazione, nel mercato italiano ed estero. E poiché l'attivazione o meno di quella opzione risultava condizionata, alla scadenza, dall'esito delle fluttuazioni del mercato mobiliare, l'eventuale perdita del cliente, che in altri scenari si sarebbe potuta convertire in un guadagno, non poteva configurare un danno penalmente rilevante. L'insussistenza nel merito della configurazione del reato di truffa contrattuale finiva con il destituire di fondatezza anche le ulteriori contestazioni. E' interessante, da ultimo, rilevare che quella sentenza del GUP di Trani è risultata conforme ad altra interessante ordinanza (del 7 gennaio 2006) di non luogo a procedere, pronunciata, in ordine allo stesso tema, dal GIP Saso del Tribunale di Lecce. In tale procedimento, contrariamente a quanto accaduto a Trani, era stata proprio la pubblica accusa, all'esito di un'articolata indagine tecnica, a cogliere nella vicenda indagata i connotati della controversia di natura civilistica, senza che residuassero spazi per sostenere nel giudizio penale l'accusa di truffa.

Autore: Giorgio Mantovano www.studiomantovano.it

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