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Frise, pucce e pasta salentine fatte con grano straniero di dubbia provenienza

Data: 28/07/2016 - Ora: 08:54
Categoria: Economia

frise

Coldiretti Lecce in campo il 29 luglio per difendere il grano Made in Italy

"Metà delle frise, delle pucce e del pane salentini sono fatti con grano tenero straniero, idem per un pacco su tre di pasta". Anche Coldiretti Lecce scende in campo in difesa del grano Made in Italy. La Federazione provinciale dei coltivatori diretti parteciperà alla mobilitazione nazionale più grande degli ultimi decenni a sostegno della coltura più diffusa in Italia, fissata per venerdì 29 luglio 2015, dalle ore 9,00, in Puglia a Bari sul lungomare Nazario Sauro, davanti al Palazzo della Giunta regionale, dove sarà presente anche il presidente nazionale di Coldiretti, Roberto Moncalvo.

"Coldiretti Lecce parteciperà alla protesta perché vogliamo difendere una coltura tradizionale del Salento, che muove un mercato importate, sia come coltivazione che come trasformazione, penso a tutti i prodotti da forno, alle frise, alle pucce, ai "pizzi" ma anche alla pasta venduta con l’immagine del Salento, che sono ambasciatrici della Terra d'Otranto nel mondo", dice il direttore di Coldiretti Lecce, Giuseppe Brillante.

Le richieste dei coltivatori sono chiare. Serve più trasparenza sul mercato, con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine del grano impiegato nella pasta e nel pane, ma è anche necessario estendere i controlli al 100% degli arrivi da paesi extracomunitari dove sono utilizzati prodotti fitosanitari vietati da anni in Italia ed in Europa e fermare le importazioni selvagge a dazio zero che usano l’agricoltura come mezzo di scambio nei negoziati internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale.

Esplode dunque la protesta degli agricoltori italiani che lasciano le campagne con i trattori per stringere d’assedio le principali città a difesa del grano nazionale, sotto l’attacco delle speculazioni che hanno praticamente dimezzato le quotazioni su valori più bassi di 30 anni fa con la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro e il rischio desertificazione per quasi 2 milioni di ettari, il 15% della superficie agricola nazionale, che si trovano peraltro soprattutto nelle aree più difficili del Paese.

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