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"Non c'è Cristo che tenga", dialogo con l'autore

Data: 27/07/2015 - Ora: 09:26
Categoria: Cultura

libro tommasi

Pubblichiamo un'interessante intervista, realizzata da Susanna Conte, al Prof. Franco Tommasi, autore del libro "Non c'è Cristo che tenga".

Salve professor Tommasi, siamo qui per parlare del libro che ha scritto, "Non c'è Cristo che tenga". È stato pubblicato nel giugno 2014. Come mai la scelta di questo titolo?

Franco Tommasi

Mah. la scelta del titolo è stata piuttosto provocatoria. Francamente all'inizio ero un po' dubbioso su questo titolo, però poi mi sono convinto quando ho visto che sul dizionario Treccani "Non c'è Cristo che tenga" è considerata un'espressione della lingua italiana. Per esempio ho visto che l'hanno usata importanti letterati, come Giuseppe Giusti. Ovviamente c'è dietro un doppio senso, una provocazione. Cioè ci si chiede se le ricostruzioni più diffuse della figura di Gesù siano credibili e se ci sia, appunto, "un Cristo che tenga".

S.C.

Chi leggerà questo libro avrà occasione di leggere resoconti e interpretazioni forniti da diversi storici. In particolare ci hanno colpito, per la loro frequenza, i riferimenti ad uno storico dell'antichità come Giuseppe Flavio e quelli ad uno storico più vicino a noi, Brandon. Ci vuole parlare di questi personaggi?

F.T.

Si, appunto, lei ha appena fatto riferimento a due storici distantissimi tra loro nel tempo (uno del primo e l'altro del ventesimo secolo). Inoltre Brandon, non è solo uno storico ma è anche, se non soprattutto, un esegeta delle scritture cristiane. Effettivamente, tornando a Giuseppe Flavio, sorprende che nel paese dove è maggiomente conosciuta e praticata la religione cristiana, questo storico sia così poco noto al grande pubblico. Di fatto si tratta della più importante fonte di informazioni sulla Palestina del primo secolo ed è certamente a lui che dovremmo fare riferimento per comprendere il clima in cui si dovrebbe essere svolta la vicenda di Gesù. Ed è davvero sorprendente che, nelle tantissime pagine da lui dedicate alla Palestina del primo secolo, non ci sia alcuna menzione di Gesù, salvo poche righe che gli stessi studiosi cattolici riconoscono essere state come minimo interpolate. In realtà molti studiosi le ritengono addirittura delle aggiunte integrali. E comunque, se facciamo riferimento agli storici seguenti, come per esempio Tacito, che scrive nel secondo secolo gli "Annales", ci accorgiamo che, parlando del famoso incendio di Roma del 64, egli afferma che a Roma c'era una "multitudo ingens" di cristiani. Se ciò è vero, immaginate quanti dovevano essercene a Gerusalemme, che era il luogo d'origine di questo orientamento religioso. Eppure Giuseppe Flavio, che fa una storia dettagliatissima della Palestina del primo secolo, non nomina mai i cristiani; nomina tutte le correnti religiose della sua epoca e non i cristiani: e questo è davvero sorprendente.
Per quanto riguarda invece Brandon, lui era un prete anglicano...

S.C.

Vissuto nel ... ?

F.T.

Beh, lui è morto nel 1971, inaspettatamente per una malattia infettiva contratta durante un viaggio di studio in Egitto. Brandon era, dicevo, un prete anglicano, cappellano militare durante la seconda guerra mondiale, e infine, nel 1951 era diventato professore di storia delle religioni all'Università di Manchester. Brandon fu autore di una serie di studi che a mio parere sono tra le cose più incisive ed accurate che si possano leggere sull’ argomento del "Gesù storico". In particolare si tratta di "La caduta di Gerusalemme", "Gesù e gli Zeloti" e "Il processo di Gesù", che è l'ultimo libro sull'argomento, pubblicato poco prima della sua morte. Di solito Brandon viene associato all'idea che Gesù fosse uno zelota, cioè un combattente anti-romano. In realtà Brandon non ha mai sostenuto questo, anzi ha precisato di non essere di tale idea. Tuttavia, come risultato delle sue indagini, ha sostenuto l'idea che Gesù e il primo cristianesimo (il primo e non certamente gli sviluppi che il cristianesimo avrà, soprattutto ad opera di Paolo di Tarso) non fosse poi tanto distante dal movimento degli zeloti quanto si possa immaginare a prima vista. Considerate per esempio che, secondo i resoconti evangelici, nel seguito di Gesù c'erano personaggi come quello che l'evangelista Luca chiama Simone lo Zelota. Ma, curiosamente, l'evangelista Marco, che scrive prima di Luca, lo chiama Simone Cananeo, nascondendo al pubblico romano che legge in greco questo testo, il fatto che "Cananeo" sta per "Zelota" ("Canà" in ebraico, che certamente il pubblico romano non era in grado di tradurre). Insomma, Marco cerca di nascondere che tra i seguaci di Gesù ci fosse uno zelota. Mentre invece Luca, che scrive ben dopo la caduta di Gerusalemme, quando ormai il fumo della guerra si è abbassato, dice chiaramente che era uno zelota. Ma poi, per esempio, Pietro viene chiamato con l'appellativo Barjona, che è la parola ebraica per dire "partigiano". Ci sono due fratelli che sono detti "Boanerghes" (che in aramaico vuol dire "Figli del tuono"). Quindi alla fine, tra questi seguaci di Gesù c'è un bel po' di gente piuttosto irrequieta, almeno a giudicare da ciò che ne dicono i vangeli. Poi considerate che sono poche le cose su cui tutti e quattro i vangeli sono d'accordo e, tra queste cose, c'è il fatto che nell'orto del Getzemani gli apostoli o i seguaci di Gesù fossero armati, il fatto che abbiano usato queste armi (tutti e quattro dicono che è stato tagliato l'orecchio del servo del Sommo Sacerdote) e che a catturare Gesù sia andata una coorte o, comunque, una turba di persone armate. Ora, tutto questo non si associa bene all'idea di un profeta che dice "porgete l'altra guancia". Diciamo che c'è un certo conflitto tra i fatti che vengono raccontati e l'immagine che la maggior parte delle persone ha di Gesù. Detto questo, Brandon non sostiene che Gesù fosse uno zelota ma piuttosto che fosse partecipe di quel generale sentimento antiromano che pervadeva la Palestina del primo secolo e che in effetti coinvolgeva in fin del conti altre componenti della società, come gli esseni e i farisei. In fondo, gli unici che collaboravano con i romani erano i sadducei, che traevano cospicui vantaggi da questa collaborazione.

S.C.

Quindi lei non nega l'esistenza storica di Gesù...

F.T.

No non la nego. C'è un orientamento molto popolare che sostiene che Gesù non sia mai esistito. Diciamo che questo orientamento ha degli ottimi argomenti, cominciando dal fatto che, effettivamente, il vuoto di notizie nel primo secolo è impressionante. Come ho detto, tra gli scrittori non cristiani del primo secolo, l'unico ad aver fatto una menzione di Gesù è Giuseppe Flavio, peraltro essenzialmente in un brano sicuramente manipolato, probabilmente fino al punto da essere del tutto inventato...

S.C.

Senta professore, dal momento che lei non nega l'esistenza di Gesù, secondo le sue ricerche, a che tipo di figura lo vede riconducibile? Ad un idealista sfortunato? A un antiromano punito giustamente da Roma? Politicamente, storicamente, secondo le sue considerazioni, Gesù chi era?

F.T.

È molto difficile dirlo con precisione, considerati i documenti che abbiamo. Questi sono per la maggior parte filtrati da un punto di vista che è fondamentalmente quello paolino o dei seguaci di Paolo, che vedevano un Gesù abbastanza distanziato dal suo ambiente ebraico, o cercavano in qualche modo di distanziarlo. Però si può provare a farsi un'idea, a muoversi verso una risposta alla domanda che fa, considerando un altro fatto. Nella Palestina del primo secolo c'era un gruppo religioso, una corrente religiosa, gli esseni. Di questi esseni, fino a un certo punto della storia, fino al 1947, sapevamo fondamentalmente quello che ci avevano detto Giuseppe Flavio, Plinio il Vecchio, Filone d'Alessandria e alcuni padri della chiesa. Giuseppe Flavio li descrive come degli asceti, dei santoni, che vestono in una certa maniera, sono vegetariani, vivono una vita monastica. Uno si fa un'idea di una specie di monaci ante litteram. Nel 1947, dalle grotte vicine ad un insediamento monastico che si sa essere stato abitato da esseni, o comunque da figure molto vicine a tale gruppo, a Qumran, saltano fuori una serie di manoscritti, i famosi Manoscritti del Mar Morto. Fra questi documenti, una sorta di biblioteca di questo gruppo religioso, si trova un manoscritto che si chiama "La regola della guerra" o "Il rotolo della guerra". Se uno lo legge, si accorge che contiene le prescrizioni, di un'accuratezza sbalorditiva, su ciò che si deve fare il giorno che comincerà la guerra contro, loro li chiamano, i Kittim, praticamente sarebbero i romani. Non so, per esempio, cosa deve essere scritto sulle trombe che suonano la carica militare, come bisogna essere vestiti, come disporsi in campo, di che lunghezza devono essere le spade, come e quando si deve lavarle del sangue dei nemici uccisi. E questo si trova in una biblioteca di un gruppo che fino a quel momento abbiamo considerato di asceti. Allora è molto difficile oggi, con il nostro modo di pensare, ricostruire la mentalità di questi gruppi religiosi, che potevano essere ispirati, stando alla descrizione di Giuseppe Flavio, a principi religiosi, ma poi coltivare la speranza di un intervento divino che li aiutasse a scacciare gli "infedeli" dal terra santa. Quindi, tornando a Gesù, noi abbiamo delle testimonianze che sono decisamente di parte, e non abbiamo il quadro completo. Quindi è difficile dire: può darsi che Gesù sia stato semplicemente un profeta apocalittico come moltissimi studiosi, anzi, direi la maggior parte degli studiosi, lo vedono. Cioè un profeta apocalittico che si attendeva un intervento divino per scacciare l'ingiustizia dalla terra, dove per "ingiustizia" si intendeva fondamentalmente la presenza romana, di queste persone non rispettose della Legge ebraica che vivevano sulla terra di Israele. Poteva essere uno che semplicemente con la preghiera invocasse questo intervento divino ma poteva anche essere qualcuno che questo intervento divino intendesse in qualche modo avvicinare, preparare, facilitare. Ripeto, queste notizie che ci danno gli stessi vangeli canonici sul fatto che i seguaci di Gesù fossero armati fanno pensare. In realtà essere precisi è molto difficile. La cosa che è certamente non credibile è che abbia detto cose come "Date a Cesare quel che è di Cesare", "porgete l'altra guancia", ecc. Queste cose non sono assolutamente inquadrabili, giustificabili, nel contesto ebraico. E, siccome oggi è ampiamente riconosciuto che Gesù fosse un ebreo a pieno titolo, un seguace della Torah (del resto lo dice lo stesso vangelo di Matteo, "finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice della legge passerà", Mt 5:18), che fosse un seguace del Battista, che era un ebreo ortodosso, seguito da Giacomo, suo fratello, un altro ebreo ultra ortodosso, a questo punto è difficile immaginare un Gesù molto diverso da questi personaggi a lui così vicini.

S.C.

Quindi lei crede che, al di là della comprensione del Gesù storico, il messaggio "ama il prossimo tuo come te stesso" non sia da attribuire alla sua persona?

F.T.

Assolutamente, basta aprire la Bibbia e si trova nel Levitico al capitolo 19 la stessa espressione. È sicuramente un elemento della tradizione ebraica ma in realtà si trova in moltissime tradizioni religiose, addirittura una frase del genere è attribuita a Talete, secoli prima. La ritrovate nel Buddismo, nel sesto secolo a.C. Addirittura il Buddismo si spinge oltre e chiede "animo illimitato verso tutti gli esseri viventi", molto di più dei soli essere umani dunque, anche piante, animali...

S.C.

È sempre un messaggio positivo, questo non è messo in discussione...

F.T.

Certo, diciamo solo che Gesù non ha il copyright di questa idea, questo è certo, poiché è un messaggio che appartiene ad altre tradizioni, ma soprattutto alla tradizione ebraica. Al di là del Levitico, per esempio, un rabbino nato prima di Gesù ma vissuto anche negli anni in cui si suppone sia vissuto Gesù, Hillel, un famoso maestro, è celebre per una massima assolutamente identica e che quindi circolava già nella società ebraica al tempo di Gesù.

S.C.

E però c'è una differenza tra il Vecchio e il Nuovo Testamento. Ovvero nel Vecchio Testamento si va a conoscere un Dio poco misericordioso, molto punitivo verso gli uomini, a differenza del Nuovo Testamento. Con l'arrivo di Gesù e del cristianesimo si parla di un Dio più misericordioso, più propenso al perdono. Questa è comunque una differenza palpabile.

F.T.

Bisogna sempre tener presente un fatto: un giudizio di questo genere è basato sulla lettura del Nuovo Testamento. Ma questo contiene ciò che ci è stato raccontato sulla figura di Gesù. Poi bisogna vedere cosa ciò abbia realmente a che fare con la sua figura storica. Però, se è vero che Gesù, come dice Matteo, ha detto "finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice della legge passerà", vuol dire che sottoscriveva appieno la Legge, al punto da non trascurare neanche un suo "iota". La Legge è quella che prescrive la lapidazione delle adultere, degli omosessuali, di chi lavora il sabato. La Legge è quella nella quale Dio ordina a Mosè dei genocidi...

S.C.

Ma questo è il Vecchio Testamento, il Nuovo Testamento è diverso...

F.T.

Si, il Nuovo Testamento è diverso nel senso che chi l'ha scritto (che è venuto molto dopo Gesù perché gli autori del Nuovo Testamento non sono testimoni oculari, non sono persone che hanno conosciuto Gesù personalmente) molto dopo ha scritto delle cose. Questi testi, effettivamente, hanno in buona parte dei contenuti diversi da quelli dell'Antico Testamento...

S.C.

OK, solo questa era la differenza...

F.T.

Si, ma tenga presente che, siccome il libro è un libro sulla figura storica di Gesù, ci stiamo interrogando su quanto Gesù si richiamasse all'Antico Testamento. Cioè, il rifiuto dell'Antico Testamento o il mettere l'Antico Testamento tra virgolette, come ha fatto poi la tradizione cristiana, è un passaggio seguente Gesù e non un passaggio compiuto da Gesù. Tra l'altro è anche abbastanza, se volete, subdolo. Perché uno si potrebbe chiedere: ma se l'Antico Testamento era questo, perché la tradizione cristiana non l'ha semplicemente rigettato e non ha presentato una tradizione completamente differente? Invece, come sappiamo, la tradizione cristiana si è comunque sforzata di segnalare, di rivendicare, il forte legame con l'Antico Testamento. C'è un motivo politico molto pratico. I romani erano molto diffidenti delle religioni nuove e tendevano a dare maggior credito e rispetto alle religioni più antiche. I primi cristiani hanno sfruttato questo fatto dicendo: noi veniamo da una religione antichissima che è quella ebraica e quindi ci dovete accettare in quanto suoi eredi. È stato il legame con l'Antico Testamento ha avuto principalmente questa funzione, che poi si è conservata. Poi nell'Antico Testamento i cristiani cercavano in tutti i modi di vedere degli annunci della vicenda di Gesù così come loro l'avevano letta. Quindi l'annuncio di questo Messia sofferente, di questo Messia che poi era stato crocifisso e quindi, per far tornare i conti, leggevano l'Antico Testamento alla luce di quello che era successo, andando a cercare con il lanternino tutti i passi che potevano spiegare l'accaduto. Se però parliamo della figura storica di Gesù, ci sono moltissimi elementi che indicano che lui in realtà fosse molto più vicino all'Antico Testamento di quanto normalmente non si ammetta. Non so, per esempio, c'è il passo di Matteo in cui dice "Non andate nelle città dei samaritani e sulle vie dei pagani" (Mt 10:5-6). Cioè noi siamo abituati ad immaginare un Gesù che viene a salvare tutta l'umanità ma in realtà, secondo lo stesso Nuovo Testamento, Gesù dice "non andate dai samaritani" che stavano a 50 km di distanza, e tanto meno dai pagani, dai gentili, dai non ebrei. Quindi lo stesso Nuovo Testamento, tra le righe, ci segnala un Gesù molto diverso da questo salvatore universale che poi la tradizione cristiana ha voluto in qualche modo presentare.

S.C.

Lei ha detto che i romani erano molto restii ad accettare le religioni delle civiltà che sottomettevano. Ma nel "De Bello Gallico" Cesare è di tutt'altra opinione. Cesare invita i romani a rispettare le tradizioni, le religioni delle popolazioni conquistate.

F.T.

Senz'altro era così ma...

S.C.

Era un atteggiamento che dipendeva da chi fosse l'imperatore?

F.T.

La questione è questa: da un punto di vista politico, quando i romani sottomettevano un popolo, tendevano a rispettare la religione di quel popolo. E questa, diciamo, non era una novità nel mondo mediterraneo antico. Già si era visto con Alessandro il Grande questo fenomeno. Quando Alessandro conquista uno dei più grandi imperi mai esistiti, di fatto, uno dei suoi principali punti di forza è il rispetto delle religioni dei popoli sottomessi. Il discorso è diverso. Non è che i romani cercassero di impedire i culti. Tuttavia avevano un maggior riguardo verso le religioni più antiche, che definivano "religio", mentre chiamavano le religioni più recenti, prive di una lunga storia, "superstitio". Quindi per loro quella cristiana è una "superstitio". Tant'è vero che Tacito negli Annales, all'inizio del secondo secolo la definisce ancora così. L'atteggiamento diverso verso il giudaismo è testimoniato, per esempio, dal fatto che addirittura gli ebrei che prestavano servizio nell'esercito romano erano esentati dal servizio il sabato. Cioè gli si permetteva nell'esercito, famoso per la sua disciplina, di non lavorare il sabato.

S.C.

E quindi come mai tutto questo astio tra ebrei e romani? Perché Gesù poté essere considerato antiromano?

F.T.

Diciamo che ci sono degli elementi di diffidenza da parte del mondo greco-romano verso gli ebrei. Teniamo presente che a Roma si è formata ben prima del tempo di Gesù una numerosa comunità ebraica. Col tempo si arriva ad un punto in cui l'imperatore Claudio è costretto ad espellerli perché causa di disordini, ma questo dovrebbe essere accaduto dopo Gesù e le cause sono poco chiare. C'erano comunque state tensioni tra ebrei e non ebrei anche ad Alessandria d'Egitto. Tuttavia la vera forte frizione tra ebrei e romani si ha in Palestina. Ma lì la situazione è radicalmente differente. I romani dal 6 d.C. sottomettono la Palestina a un duro regime fiscale. È una tassazione selvaggia che somiglia più a una rapina a mano armata. Quindi c'è veramente un fortissimo movimento antiromano in Palestina. Poi, nel 66 d.C., quando scoppia la guerra, i romani hanno un primo momento di sbandamento, in cui sembra addirittura che gli ebrei possano prevalere. Alla fine la guerra si concluderà con la presa di Gerusalemme nel 70 e quella di Masada nel 73, però, a quel punto, ai romani questa guerra sarà costata un pesantissimo tributo di sangue (per non parlare di quello costato agli ebrei, si parla di un milione di morti). Alla fine della guerra parlare di ebrei ai romani faceva lo stesso effetto che avrebbe fatto parlarne ai nazisti. Davvero non ne volevano sentire parlare. Da qui nasce per Marco la necessità di de-giudaizzare la figura di Gesù. Marco scrive proprio alla fine della guerra, intorno al 70 e fa di tutto per presentare ai lettori dell'impero un Gesù non ebreo, proprio perché in quel momento è pericolosissimo presentare un Gesù legato alla tradizione ebraica. In seguito la situazione si allenterà. Tanto è vero che, per esempio, trovate Luca, che scrive una quindicina di anni dopo ed egli non ha più problemi a chiamare Simone "Lo Zelota". Marco invece lo deve nascondere (chiamandolo "Cananeo", che significa la stessa cosa in aramaico, ma i romani non lo comprendono). Ripeto, è solo un esempio ma in realtà è tutto l'impianto del vangelo di Marco che risente di questo problema.

S.C.

Parliamo un po' del processo e della condanna di Gesù. Prima di tutto, secondo le sue ricerche, perché Gesù venne condannato?

F.T.

Piccola parentesi su "le mie ricerche". Io racconto quello che dicono i maggiori studiosi sull'argomento e lo faccio perché penso sia poco noto in Italia. Le ricerche sono perciò principalmente loro piuttosto che mie. Non mi ritengo un'autorità in questo campo. Chiusa la parentesi. Detto questo, vengo alla sua domanda. Se guardiamo ai fatti, nudi e crudi, come raccontati dai vangeli, la questione è relativamente semplice. Nel senso che i vangeli ci dicono che sulla croce c'era scritto in tre lingue "Re dei Giudei". Ora, siccome il cartiglio sulla croce era posto per indicare il motivo della condanna, è evidente che il motivo della condanna fosse l'essersi proclamato, o essere ritenuto, re dei giudei. Come sa, Messia (Unto, Cristo) è il titolo che veniva dato ai re e ai sommi sacerdoti che, nella tradizione ebraica andavano unti con l'olio. Che poi si ritenesse o fosse soltanto ritenuto da altri il Messia, ai romani importava relativamente, visto che per loro contava solo togliersi di torno tutti coloro che rappresentavano un potenziale problema. Se costoro avevano un seguito popolare il problema era reale. Poi il tipo di condanna ci dice qualcosa sulle accuse, perché la crocifissione non era riservata ai bestemmiatori, per loro c'era la lapidazione ed era un fatto esclusivamente ebraico (ai romani delle bestemmie ebraiche importava ben poco). Il vero problema dei romani era il mantenimento dell'ordine e e del loro dominio. La crocifissione era un supplizio piuttosto infamante riservato ai ribelli, agli schiavi fuggitivi, in certe situazioni ai prigionieri di guerra (per esempio durante la guerra giudaico-romana spesso i romani crocifiggevano coloro che catturavano, come i fuggitivi da Gerusalemme, in modo che si vedessero dalle mura della città, ad esempio per gli assediati). Comunque si trattava di un tipo di condanna fondamentalmente di natura politica. Questo va sottolineato perché quando la gente pensa ai crocifissi si ricorda sempre che di fianco a Gesù c'erano i "ladroni". I vangeli, che sono scritti in greco, li chiamano "Lestes", in latino sarebbero "Latrones". Ma Latrones era il modo in cui i romani definivano i rivoltosi. I romani facevano quello che fanno tutti gli occupanti un suolo straniero che lottano contro una resistenza locale. I nazisti quando uccidevano i partigiani li chiamavano banditi, criminali, delinquenti ecc. Quindi, li chiamavano Latrones ma il vero significato era quello di rivoltosi, partigiani. Quindi l'esecuzione di Gesù è stata fatta con la condanna tipica dei rivoltosi e in mezzo a due rivoltosi. Secondo quello che dicono i vangeli, che sono una fonte certo non propensa a mettere in evidenza questo genere di particolari. Eppure ce lo dicono essi stessi. Ecco perché è stato condannato. Naturalmente poi si pone il problema di quanto l'accusa fosse il risultato della percezione dei romani e quanto fosse fondata nella realtà. Ecco, però ci sono degli elementi che la fanno ritenere in qualche modo fondata, anche se è difficile dire quanto. Però, per esempio, nel vangelo di Luca c'è un passo che dice (Lc 22:36) "chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una". Allora mi dovete spiegare perché Luca ci ha raccontato questo particolare. Le spiegazioni di questo verso un po' imbarazzante date dagli studiosi cristiani rasentano il comico. C'è uno che dice che la spada rappresenta "un periodo di crisi", non so cosa voglia dire. Un altro dice che la spada serviva per difendersi dagli animali selvatici... ma insomma, che venga riportato un detto di Gesù che dice "compratevi una spada" per difendervi dagli animali mi sembra curioso. In realtà, se Luca ha affrontato il potenziale imbarazzo causato dall'inserire un passo del genere nella sua presentazione di un Gesù che dice di "offrire l'altra guancia", vuol dire che probabilmente Gesù ha pronunciato davvero questa frase. C'è un criterio esegetico detto "il criterio dell'imbarazzo", ovvero, quando un passo è imbarazzante per l'autore ci sono maggiori probabilità che sia storico, perché altrimenti non si capisce perché l'autore avrebbe dovuto inserirlo. Ma non è solo quello, ce ne sono tanti altri. Adesso sarebbe forse lungo elencarli ma se li volete conoscere lo faccio.

S.C.

Magari in un'altra intervista. Potremmo pensare ad una seconda parte visto che l'argomento è abbastanza interessante. Tralasciando il libro e venendo a considerazioni più personali, lei nel libro non si definisce né ateo né agnostico. Cosa si ritiene?

F.T.

Mah (sorride)... non vedo perché io mi debba ritenere qualcosa per soddisfare le curiosità...

S.C.

Non si tratta di curiosità, mi riferivo a quello che è scritto nel libro..,

F.T.

No, no, scusami, parlavo in generale e non mi riferivo alla sua domanda, che è legittima naturalmente. Il discorso del "non ateo" è questo. Ti senti tirato a prendere posizione su di una questione che io personalmente giudico mal posta, non rilevante. È una questione che interessa chi la pone. Ma, in fin dei conti, "tu credi in Dio?" cosa significa? Se qualcuno mi spiegasse cosa significa esattamente forse potrei anche provare a dare una risposta. Ma è chiaro che si tratti di un tentativo di dividere il campo e costringere a prendere posizione. Ancora più tipica è la definizione di "non credente", un termine che si sente spesso e che io rifiuto perché domando "non credente in cosa?". Io credo in delle cose e non chiamo "non credente" chi non crede nelle cose in cui credo io. Una cosa è dire "credi o non credi al Gesù della tradizione cristiana?" e in questo caso la mia risposta è un netto "no" e un'altra dire "sei credente o non credente". Per quanto riguarda "agnostico" io sono riluttante anche ad accettare questa definizione poiché a me pare evidente che siamo tutti inseriti in un mondo di cui sappiamo qualcosa ma per definizione non possiamo sapere tutto. Quindi in questo senso non sono agnostico io, ma siamo agnostici tutti, anche chi dice di non esserlo. Cioè la nostra conoscenza del mondo non può andare oltre un certo limite che è quello che la nostra natura ci permette di raggiungere. Siamo "agnostici" tutti, quindi è inutile definirci agnostici.

S.C.

Cosa si aspetta da questo libro?

F.T.

Mah... mi aspetto che lo leggano in pochi [ride]. Perché dico questo? Non faccio certo una buona pubblicità al libro ma il fatto è che i cristiani questo libro lo trovano indigesto. È una lettura faticosa per loro, perché significa, dati alla mano, smontare un mondo. E, intendiamoci, non lo smonta Franco Tommasi, lo smontano i maggiori studiosi del mondo, se uno li va a leggere. Soltanto che in Italia sono pochissimo noti, questa è la realtà dei fatti. Quindi i cristiani, quando possono, cercano di evitarlo. "Si si lo devo leggere, si si lo leggerò" e poi non se ne parla. Poi chiaramente non è un libro "alla Augias". È un libro di taglio abbastanza rigoroso, direi quasi scientifico, almeno nell'impostazione e nelle intenzioni. Quindi per persone che amano un certo rigore nella presentazione degli argomenti. E questo certo non lo rende popolare. Non nasce come un testo che aspiri a diventare un best seller.

S.C.

Certo. Ha avuto modo di confrontarsi con altri studiosi di questo argomento? Quali risultati ha avuto?

F.T.

Io dico chiaramente fin dalla prima pagina del libro che non credo di presentare nulla di particolarmente nuovo. Se si vuole, quello che presento è nuovo o, diciamo, non sufficientemente presente nella letteratura italiana. Cioè in lingua inglese ci sono oramai decine e decine di best seller che presentano punti di vista abbastanza vicini al mio. Per non parlare del francese. In Francia c'è stata una trasmissione televisiva in più puntate di grandissimo successo dedicata alle origini del cristianesimo dalla rete Arte - gli autori erano Mordillat e Prieur. In Italia queste cose non le troverete. Io ho visto una trasmissione della rete Tre (La Grande Storia) dedicata al Gesù storico che era veramente scandalosa. È l'unico caso in cui ho visto trattato il tema in TV. Gli "studiosi" erano tutti esponenti del clero cattolico. Questa è la situazione italiana. Quindi, in un certo senso, questo libro, se considerato nel panorama italiano, costituisce una certa novità, questo mi sento di dirlo a testa alta. Se guardiamo nel panorama mondiale, non ho difficoltà a riconoscere che queste idee circolano ormai da tempo. Detto questo sono in corrispondenza con diversi degli studiosi che ho citato. Ma certo non vado a dirgli "guarda questa mia idea originale" perché, ripeto, si tratta di idee che nel mondo circolano da tempo. Non credo di avere una speciale patente di originalità. Tutt’al più, forse, ho rimesso insieme diversi argomenti presentando un quadro abbastanza unitario, però sono certo di non essere il solo. Questa presa di coscienza della ebraicità di Gesù e delle conseguenze di questa ebraicità, l'idea che Gesù fosse probabilmente un ebreo ortodosso, è, direi, assolutamente molto diffusa oggi e quindi non credo di aver detto cose particolarmente originali.

S.C.

Bene professore, io la ringrazio, è stato davvero interessante conversare con lei.

F.T.

Grazie a voi.

Autore: Susanna Conte - Franco Tommasi

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